MARIO DI MAURO A RADIO UNO RAI

 

CATANIA DA BERE?

Il 25 luglio 2002 sono stato invitato da Radio Uno Rai, come presidente dell'associazione Terra e LiberAzione, a partecipare al programma 'Il Baco' che dedicava uno spazio alla città di Catania.
Abbiamo colto questa occasione per produrre una nostra 'interferenza in quello Spettacolo neocoloniale di cui la realtà siciliana è prigioniera. In dieci minuti, inseguito dalla conduttrice, ho spiegato che in Sicilia c'è più acqua buona che in Lombardia, che il 50 per cento di quest'acqua è rapinata e bruciata dall'idrovora dei poli petrolchimici delle multinazionali, che a Catania non è tutto 'rose e fiori' come vogliono far credere e che 80.000 disoccupati e precari non li possiamo nascondere 'sotto il tappeto'.

Ho detto che anche il vanto del 'modello Catania', l'Etna Valley, poggia su un mix di assistenzialismo pubblico e stipendi pakistani a fronte di qualifiche americane... e che, sebbene sia 'meglio di niente', il futuro della Sicilia non può fondarsi più di tanto sugli 'umori' delle multinazionali...

Il 'modello Catania', così come si è configurato, è un modello asfittico: promuove un dinamismo senza identità autentica e un ceto politico che si arrampica sugli specchi dell'autoinganno media- tizzato e del personalismo carrierista, in una città che, 'geneticamente', sopravvive a tutto.


Il 'modello Catania' è figlio di un marketing territoriale degno degli ingravidabalconi di Brancati, sebbene gli si deve riconoscere il 'merito' di aver seppellito il mito del posto fisso allo stipendificio e indicato l'orizzonte del Mondo a chi non alzava lo sguardo dal lucido delle proprie scarpe.
Da quanti secoli a Catania non si costruisce nulla di bello ' La 'Catania da bere', città sperta che dovrebbe accogliere milioni di turisti spendaccioni sbarcati dal cielo e dal mare, galleggia invece solo sul genio dei morti: Vaccarini, Ittar, Biscari... e quant'altri, pazienti scalpellini e sapienti muratori, la ricostruirono, sulle macerie del terremoto del 1693, nella
luce di un barocco metafisico espressione di una idea di Bellezza che avvicinava tutti a Dio quanto lo smog e l'incultura di oggi ci sprofondano verso il Demonio. Qualcuno si è seduto sulle spalle di questi giganti ma era e resta un nano, incapace di 'nominare' l'Avvenire di questa città senza rincorrere -o far finta di rincorrere- miti esotici con palme di banano e quant'altro.
Il dinamismo 'a sprazzi' che stavolta trova sbocco nell'apertura di alberghi, ristoranti, pub...è privo di forza mentale propria, nasce dal marketing territoriale, non da idee radicate, e si risolve nel franchaising, non nella crescita civile. All'inizio degli anni novanta la giovane borghesia catanese, che conosce Londra e New York meglio di Picanello e degli Angeli Custodi, inventava la movida, apriva centinaia di locali, offriva un alibi al 'nuovismo' in politica che, mentre umiliava il popolo catanese proibendo ai devoti l'accensione dei ceri votivi (solo 'Terra e LiberAzione' e il Circolo Sant'Agata dissero 'No!' ai proibizionisti), inventava il mito borghese della 'Catania da bere' con tanto di certificato Kpmg.
Ma, come disse a suo tempo don Nitto Santapaola: 'niente dura per sempre', i cicli si susseguono, la giovane borghesia è cresciuta, sta occupando i posti che le spettano in quelle che restano le professioni più gettonate: medico e avvocato, guarda caso due 'mestieri' legati ad altrettante disgrazie: la malattia e la lite, come scriveva un secolo fa, mi pare,
Giustino Fortunato.
Catania resta comunque il centro economico più importante della Sicilia, ed è qui che il paradosso siciliano presenta il conto più amaro. Il paradosso di un'Isola-Nazione e di un Popolo sradicato dalla Storia attraverso uno Spettacolo neocoloniale che a Catania mette in scena, meglio che altrove, il suo 'delitto perfetto'.
Il paradosso di un'Isola-Nazione saccheggiata e colonizzata fino all'automutilazione culturale, allo sbiancamento della sua identità mediterranea.
Negli anni sessanta questa città sventrava se stessa nel boom di una edilizia che la 'modernizzava' con 'larghezza di vedute': parole dell'on. Macrì, sindaco della 'Milano del Sud'.
Quando, negli anni ottanta, dagli scantinati di pietra lavica uscirono 4 band rock non si perse tempo a ribattezzarla la 'Seattle d'Europa', ma la lezione del suo profeta, Chicco Virlinzi, è stata fatta cadere nel vuoto, allungando la lista delle occasioni perdute: ma come si fa, oggi, a parlare di 'politiche culturali'?!. Intanto, straviati un bel po di eurodanari sul
litorale della Playa, terre antichissime del mito abitate da invisibili Ninfe e visibilissimi fenicotteri, angeli della Terra che ricollegano Catania all'Araba Fenice, nel suo destino di 'città che risorge dalle proprie ceneri'...ti vanno a inventare 'Catania come Copacabana'.
Da quanti secoli a Catania non si costruisce nulla di bello?


@ Mario Di Mauro, direttore del sito www.terraeliberazione.org.