TRIBUNALE MESSINA DICEARCO

DICEARCO DA MESSANA SCRISSE UN TRATTATO SULLA DEMOCRAZIA 2400 ANNI FA Al tribunale di Messina potete trovare un bassorilievo del suo viso sul prospetto principale insieme ad altri 6 grandi .

   

DICEARCO DI SICILIA

Nato a Messina nel 356 a.C.  morto nel 285 a.C.

 

Atene e Roma, prove di democrazia

Il dibattito sulle costituzioni viene impostato da Erodoto nel V secolo a.C. in un passo famoso del III libro nel quale, usando il nome dei Persiani che posero fine alla congiura dei Magi, ma usando di fatto una prospettiva tutta ateniese, fa difendere da Otane la democrazia, da Megabizio l'oligarchia, da Dario la monarchia: Otane afferma che il popolo al potere ha il nome più bello di tutti, isonomia (uguaglianza), perché "nella maggioranza c'è la totalità"; agli attacchi di Megabizio al popolo, Dario risponde che le amicizie fra i potenti portano alle divisioni e alle lotte civili finché "un capo del popolo" non riporta la pace e giunge alla monarchia, che è la soluzione migliore.

L'idea che il demos va inteso come la totalità della popolazione, non come una parte (i poveri contrapposti ai ricchi) ricompare in Tucidide nel discorso di Atenagora Siracusano ed è dominante nel discorso di Pericle per i caduti del I anno di guerra (il cosiddetto epitafio); come Erodoto, anche Tucidide coglie in Pericle il "capo del popolo" che, con il suo illuminato governo, realizzò di nome la perfetta democrazia, di fatto il governo del "primo uomo" e la monarchia, e identifica nei suoi successori, che pretendevano di guidare il popolo, senza avere come lui il riscatto dagli interessi personali, la rovina di Atene, accomunando così, nello stesso giudizio, i democratici radicali del tipo di Cleone e di Iperbolo, e i rivoluzionari oligarchici, che portarono ai colpi di stato del 411 e del 404.

Profondamente diverso è il concetto di isonomia nella democrazia periclea, in cui il popolo è la totalità non una classe e l'uguaglianza si realizza nella diversità delle competenze e dei meriti e negli uguali diritti di tutti di fronte alle leggi e nell'attività pubblica, senza che la povertà o la mancanza di notorietà influiscano sulla valutazione della dignità personale, del concetto di isonomia delle oligarchie più o meno moderate, che danno origine alla costituzione beotica e ai governi dei 400 e dei Trenta in Atene, secondo i quali l'uguaglianza riguardava solo gli uguali per censo, coloro che erano in grado di servire la città come opliti. Questa drastica riduzione del corpo civico, che caratterizza i colpi di stato del 411 e del 404, escludendo dalla partecipazione alle decisioni e alle cariche comuni i proletari (teti), viene indicata dai suoi fautori col nome di patrios politeis, costituzione dei padri e fatta risalire a Solone, mentre i democratici, autori delle restaurazioni del 411 e del 403, insistono nell'affermare che, per Atene, unica patrios politeis è la democrazia.

Accanto al "mito" della patrios politeis, che continua nel IV secolo, si afferma, partendo dalla speculazione sulle costituzioni di Platone e di Aristotele, l'ideale della "costituzione mista", che, formulata dall'aristotelico Dicearco da Messana nell'ultimo decennio dello stesso IV secolo, trova il suo massimo teorizzatore in Polibio, che ne vede l'attuazione nella costituzione romana, il senato quello oligarchico-aristocratico, i consoli quello regale (democrazia, oligarchia, monarchia).

La mescolanza dei tre elementi assicura alla costituzione romana la sua stabilità, che non la sottrae però del tutto alla possibilità della decadenza. Alla "costituzione mista" si ispira anche Cicerone nel suo "De Republica", per il quale la decadenza di Roma e della repubblica viene dalla decadenza dei mores e dei viri.

In età imperiale il discorso sulle costituzioni si riduce spesso all'esaltazione da parte dei vari retori greci, della basileia, un termine che il mondo latino evita accuratamente per l'impero, che resta, per i Romani, una res publica.

Un discorso interessante è quello dello storico severiano Dione Cassio, che, sotto il 27 a.C., parlando della forma data da Ottaviano ormai Augusto allo stato romano, la definisce politeia e sostiene realisticamente che essa fu un mutamento in meglio e per la salvezza dello stato, perché non era possibile per i Romani salvarsi mantenendo la forma repubblicana. In un passo precedente, sotto il 29, riferendo, con molta libertà, i consigli che Mecenate avrebbe dato allora ad Ottaviano, parla addirittura dell'attuazione della "vera democrazia" e di una "libertà sicura", ricuperando, anche verbalmente, la terminologia dei discorsi tucididei: la tripartizione dei compiti e delle competenze fra i saggi che devono consigliare, i validi al comando che devono esercitarlo, i forti e i poveri che devono militare è chiaramente modellata sul discorso di Atenagora, come risulta anche dal richiamo all'uguaglianza, che nasce per tutti dalla divisione dei compiti secondo le competenze di ciascuno, e dalla divisione equa dei vantaggi e degli svantaggi.

 

Tratto da Marta Sordi: Atene e Roma, prove di democrazia. Avvenire, 22 luglio 2001.